Dicono di Noi
La nostra azienda ed i nostri vini raccontati con le parole degli altri: piccoli frammenti che parlano del nostro lavoro ed i nostri vini, una piccola cronostoria.Marta Valpiani: come la Romagna è tornata nel mondo del vino che conta
di Fabio Cagnetti
1 Febbraio 2024
qui il link: https://fabiocagnetti.substack.com/p/marta-valpiani-come-la-romagna-e
Elisa si è ritrovata giovanissima a dover fare scelte importanti, e ha dimostrato di avere tutte le qualità migliori dei vignaioli della sua generazione: umiltà, volontà di imparare e confrontarsi, capacità di comprendere il territorio e il mercato del vino, apertura mentale, capacità di imparare dai propri errori.
In italiano, un visionario è un pazzo; in inglese, visionary è chi ha una visione, chi riesce a guardare oltre la siepe.
Uno dei punti fondamentali della visione di Elisa, che ha fatto la differenza negli anni, è stato credere nell’Albana secco. Un’intuizione che nasce dalla conoscenza profonda di vini e territori diversi.
Molti vignaioli della generazione dei miei genitori, ossia letteralmente i boomer, quelli che oggi hanno dai sessant’anni in su, bevevano e bevono solo il loro vino, sia a casa sia al ristorante, e fondamentalmente pensano che gli altri vini facciano più o meno schifo… inclusi quelli del loro stesso territorio, e le rivalità e i campanili hanno causato una minore capacità dei vignaioli italiani, rispetto a quelli francesi, di fare sistema promuovendo un brand collettivo -che sia una denominazione, un comune o un’area geografica- con evidenti vantaggi per tutti.
Al contrario, i migliori vignaioli della mia generazione, come Marta Rinaldi, Luca Roagna, Riccardo Campinoti e appunto Elisa Mazzavillani, appartengono a una new wave assetata (è decisamente il verbo giusto) di confrontarsi, di conoscere, di assaggiare il vino degli altri, soprattutto i grandi vini, i punti di riferimento verso l’alto nonché quello che stanno facendo i propri pari in zone diverse.
L’idea di lavorare con l’Albana secco nasce proprio dalla passione di Elisa per il riesling tedesco, uva con cui ha visto delle continuità nel potenziale di acidità e struttura. E in effetti la sua Madonna dei Fiori ha molto dei grandi trocken della Rheingau e della Mosella, certo ha un po’ più di struttura ma la freschezza e la tensione non possono non ricordarli. Parimenti, i modelli stilistici del sangiovese vanno a ricercarsi non tanto a Montalcino, quanto nelle zone di più alta collina del Chianti, Lamole per la precisione, e idealmente in Borgogna. L’ideale di eleganza, di potenza senza peso, o con quanto meno peso possibile, è un faro che ha guidato la mano della vignaiola negli ultimi anni.
Abbiamo parlato solo di persone, ma il territorio fa tanto. Sui calanchi di Castrocaro, le escursioni termiche favoriscono lo sviluppo di sostanze aromatiche, mentre le argille, i calcari, la sabbia e il sasso spungone costituiscono suoli variegati che hanno dimostrato di essere tagliati per l’eleganza. Non credo si tratti di una zona meno vocata di quella Modigliana che ha dato capolavori eterni ormai più di trenta anni fa.
L’Albana Madonna dei Fiori è vino contemporaneo per antonomasia; tesissima, guidata da acidità vibrante e mineralità anch’essa da riesling renano, cambia le carte in tavola con una struttura più mediterranea, oltre che con un profilo che è più sale che fumo. Vertiginosamente uno dei grandi vini bianchi d’Italia, anno dopo anno.
Rio Pietra, un tempo Marta Valpiani Rosso, è dimostrazione che il sangiovese qui può rimanere umile senza dover essere necessariamente un vino del cazzo. Del resto, le vigne da cui proviene iniziano ad avere una ventina d’anni. Molto fresco, floreale e balsamico, è un’idea di sangiovese basata su eleganza e verticalità, rifuggendo qualsiasi pesantezza o eccesso di struttura.
Crete Azzurre, la selezione di sangiovese dalla vigna più vocata, è arrivato a fare 90 giorni di macerazione (che ormai in Langa nessuno o quasi si azzarda a fare più) e 18 mesi di botte grande, più altri sei di cemento e sei di bottiglia; praticamente quanto farebbe un Barbaresco. Ciò nonostante, è un monumento di eleganza, tra Lamole e Vougeot; l’annata 2016, aperta oggi, rappresenta un nuovo punto d’arrivo dopo tre decenni senza acuti di questo livello in Romagna. Vedremo dove arriverà la 2019, inevitabilmente giovane ma che promette benissimo.
E poi c’è il Fiore dei Calanchi, il progetto più folle. Una sola parcella, una sola botte, 666 bottiglie, diraspato acino per acino. Se Elisa fosse giapponese, costerebbe come una lavatrice.
Il Sangiovese di Romagna declinato al presente
di Fabio Rizzari
qui il link: Vitae Ais Il Sangiovese declinato al presente
Il test del DNA per ricostruire le proprie origini è molto meno costoso di una volta, quindi, qualche mese fa mi sono fatto mandare un kit apposito comprato online. Oltre a indicare antenati scozzesi,
nordafricani e bretoni, l’esame ha rivelato la presenza di numerosi marcatori molecolari del sangiovese.
È dovuto probabilmente al fatto che mia madre era romagnola, di Bertinoro. Ciò spiega anche a livello genetico perché i vini da uve sangiovese mi siano sempre piaciuti, in tutte le loro declinazioni territoriali
e stilistiche (quali più, quali meno).
Certo, non sono un amatore isolato della nobile varietà. Il sangiovese fa nascere alcuni dei più compiuti rossi italiani, e conta, com’è giusto, schiere di appassionati.
Non ci sono dubbi sul fatto che alcuni distretti produttivi siano molto più ricercati di altri dagli enoli: Montalcino e Chianti Classico su tutti, ovviamente. Mentre il Sangiovese della Romagna, che pure
nell’ultimo quindicennio ha dato ottime prove in termini di qualità, originalità, longevità, rimane ancora connato in un limbo dove la stima dei bevitori – soprattutto stranieri – è ancora tiepida.
Una parte di responsabilità ce l’ha la strategia perseguita da molte aziende romagnole nei decenni Novanta e Duemila, che nel tentativo di inseguire il successo di mercato dei poderosi Brunello ha caricato
i propri Sangiovese con dosi cavalline di rovere nuovo, tannini, alcol. Tentativo del tutto comprensibile, certo. Ma il risultato era non di rado una soluzione idroalcolica semisolida, facile da mandare giù come
un bicchiere di cemento armato.
Quando si è passati, in un cambiamento di prospettiva epocale, dalla centralità del modello produttivo dominante (il rosso che doveva sempre e comunque “bordoleseggiare”) alla valorizzazione delle peculiarità dei singoli distretti produttivi, le scoperte piacevoli si sono moltiplicate.
E meglio, spesso le riscoperte: dalla complessità del Sangiovese di Marzeno e Modigliana alla ricchezza tannica del Sangiovese di Predappio, alla gentilezza del Sangiovese del cesenate, e via via, in una sempre più precisa individuazione delle diverse sottozone regionali.
Una tavolozza ricca di sfumature che ha frantumato il monolite stereotipato del Sangiovese di Romagna, restituendo al bevitore la possibilità di scegliere tra molte valide interpretazioni del nobile vitigno.
Parallelamente si sono moltiplicate le declinazioni enologiche. Non più costretto a camuarsi da Supertuscan, il sangiovese romagnolo ha potuto mostrare le sue capacità plastiche in cantina, dove i giovani produttori si sbizzarriscono nella scelta dei materiali dei vasi vinari (cemento, anfora, tutte le variazioni del legno) e nei metodi di fermentazione.
Due tecniche costituiscono il cosiddetto focus di questo articolo: la vinicazione a grappolo intero (o comunque diraspato solo in parte), e il più sperimentale procedimento del baie par baie, ovvero dell’acino per acino. La prima è una metodologia antica, che sta riscuotendo sempre più interesse oggi per i diversi eetti che un raspo maturo apporta alle fermentazioni. Descritti molto somma riamente, da un’azione puramente meccanica a una serie di eetti chimici, tra i quali un leggero abbassamento del contenuto alcolico, una maggiore dote tannica, una più pronunciata presenza di aromi speziati nel vino nito.
Tali caratteri hanno i loro sostenitori, che li ritengono parte di una tradizione plurimillenaria e che apprezzano la complessità e la freschezza dei rossi così ottenuti, e i loro detrattori, secondo i quali i raspi aumentano i sentori più crudi ed erbacei e apportano tannini più abrasivi e amari.
Nella mia esperienza possono risultare fondate entrambe le posizioni sul grappolo intero.
Non lo dico per tutelarmi in un arrocco veterodemocristiano, ma perché occorre come sempre e comunque valutare il singolo esito: alcuni rossi da grappolo intero sono eccellenti, altri solo buoni, altri meno che mediocri.
La seconda tecnica, quella dell’acino per acino, è invece rarissima, soprattutto perché richiede tempo, pazienza ed energie davvero notevoli.
Ha deciso di testare il potenziale di quest’ultimo sistema Elisa Mazzavillani, dell’azienda Marta Valpiani. Elisa è una giovane vignaiola di Castrocaro, zona che dà rossi dove la componente salina – alcuni temerari si spingerebbero a chiamarla “minerale”, termine ormai proscritto dagli enologi e dai commentatori più intransigenti – marca il prolo gustativo in modo percettibile.
Le capacità interpretative di Elisa sono ben note già da diversi anni ai buoni bevitori e alla stampa di settore. I suoi Sangiovese, dal Crete Azzurre a La Farfalla, al Rio Petra, sono accomunati da uno stile aggraziato e tenace al tempo stesso: slanciati, bene estratti nei tannini, tutto meno che pesanti e alcolici, sono percorsi da una vena di sapidità rinfrescante. Sì, rinfrescante: perché la freschezza, che di solito associamo automaticamente all’acidità, viene anche dagli elementi gustativi sapidi.
“L’idea di fare questa sperimentazione è nata su suggerimento di Giancarlo Marino, che passò qualche anno fa e mi chiese se avessi sentito parlare del ‘baie par baie’. Dapprima ho pensato ‘ma gurati, bisogna essere matti per fare una cosa così’. Poi ha iniziato a ritornarmi in testa questo pensiero… Caso volle che iniziassi proprio in quel periodo a lavorare una piccola vigna di mille metri quadrati che nasce su sabbia e spungone e che è di proprietà di un
anziano del paese. Il luogo è bellissimo. Anche con queste piccole quantità il lavoro di schiccolatura è faticosissimo. Lascio il picciolo attaccato agli acini, il tutto va in un piccolo mastello da quintali, aperto.
Poche follature, poi una volta che va a secco lascio in ‘infusione’ per alcuni giorni. In ne, pressatura, acciaio per una settimana e tonneau”.
Il Sangiovese che ne deriva, battezzato da Elisa Fiore dei Calanchi, ha come “centro di gravità” un frutto ampio e fragrante, con leggere inessioni che novelleggiano. Attenzione però, il quadro aromatico è distante anni luce dal prevedibile timbro di un rosso novello ottenuto da macerazione carbonica. I rimandi analogici sono più complessi e il bouquet (come lo si chiamava una volta) è ricco di sfumature. Al gusto è particolarmente agile,
senza difettare di struttura tannica e pienezza, per un risultato di inarginabile e quasi pericolosa facilità di beva: come le patate al forno, che indipendentemente da numero di teglie a tavola – due, tre, quattro, nove – uniscono in ogni caso.
Non più costretto a camuffarsi da Supertuscan, il sangiovese romagnolo ha potuto mostrare le sue capacità plastiche in cantina, dove i giovani produttori si sbizzarriscono nella scelta dei materiali dei vasi vinari e nei metodi di fermentazione.
…
Seguendo percorsi produttivi differenti, entrambi i vini, Fiore dei Calanchi e Lo Stralisco, mostrano con chiarezza quale sia il notevole potenziale del sangiovese romagnolo. Che a questo punto ha poco o nulla da invidiare agli illustri cugini toscani.
"Le vigne sopra i calanchi", un paesaggio lunare per vini spaziali
qui il link: https://www.cesenatoday.it/blog/sa-di-frutti-rossi/le-vigne-sopra-i-calanchi-un-paesaggio-lunare-per-vini-spaziali.html
Il monsignor Enzo Donatini descrive il territorio della zona di Castrocaro – Terra del Sole così: “Laddove l’estreme colline dolcemente serrano la valle, brulica un cantiere, come un frenetico alveare. Marraioli, bifolchi, scalpellini, fornaciai, muratori, carpentieri a che attendere? Una città-fortezza edifichiamo, una città nuova: la “Città del Sole”.
Cinta sarà di mura bastionate e possenti, s’entrerà da due porte sotto due castelli, due larghe strade avvieranno alla piazza, cuore della città: qui i palazzi e la chiesa e, intorno, il verde della campagna, sopra l’azzurro e il sole: una città solare, che dall’aspro maggiore rifletta l’armonia, gli spazi e lo splendore.
Così un artefice: e nelle sue pupille lessi l’immagine d’un sogno, già fatto pietra.”
In questo magnifico areale, sulla collina di Bagnolo, quella più alta tra Castrocaro Terme e Terra del Sole, in un posto che sembra un anfiteatro lunare, sorge Marta Valpiani.
Castrocaro è caratterizzato da un territorio molto variegato con grandi differenze a pochi metri di distanza: a nord argille azzurre e sasso spungone e l’apertura verso l’Adriatico e a sud argille rosse ferretizzate, spungone e calcare che si alternano a sabbie dorate e a arenarie il tutto affacciato ad una più fredda vallata del fiume Montone.
Condisce tutto una importantissima impronta marina e salina dovuta alle fonti salso bromo iodiche delle Terme di Castrocaro che caratterizza tutti i vini di Elisa e la ritroviamo ben distintiva nel calice in degustazione.
Terreni ricchi di sale, calanchi meravigliosi con un panorama mozzafiato. Calcare, sabbia e spungone costituiscono il sottosuolo di questa meravigliosa realtà romagnola.
Oggi a condurre l’azienda è la figlia Elisa Mazzavillani, una super donna, una bravissima agricoltrice appassionata di botanica e di geologia. Il suo legame con la flora e la sua passione dell’arte e del disegno non passa inosservato: ogni vino ha una meravigliosa etichetta che ha per soggetto un fiore dipinto. “Sèm à Nadèl”: fate un regalo elegantemente buono. Scegliete i vini di Elisa e farete un figurone. Elisa ama il vino e quando lo racconta è avvolgente. Come lei stessa afferma: “Amo il vino perché è storia e radice di questi luoghi, perché al pari di una canzone ti ricorda momenti e occasioni speciali. Ogni giorno vi racconto un modo nuovo di interpretare l’agricoltura tra bellezza, equilibrio e naturalità.”
Il simbolo di Marta Valpiani è la farfalla. E’ la farfalla che in qualche modo ha indicato la via, nel corso del tempo, a Elisa sia nell’arte sia nella vita. Un pensiero di Elisa rivolto alla poesia di Tonino Guerra “La Farfalla” che così recita: Contento, proprio contento sono stato molte volte nella vita ma più di tutte quando
mi hanno liberato in Germania che mi sono messo a guardare una farfalla senza la voglia di mangiarla.
In questi anni l’azienda ha cercato di incrementare il più possibile la biodiversità, piantando alberi, cespugli, lavanda, ginestre e altre piante mellifere e questo ha portato una moltitudine di farfalle, coleotteri, api selvatiche e di conseguenza anche di uccelli insettivori fondamentali nel concetto di “biodinamica” aziendale (anche se non ancora certificato).
Marta Valpiani è una realtà di circa 34 ettari, a circa 300 metri di altitudine. Con una viticoltura naturale, in un ecosistema magnifico e complesso, le lavorazioni sono completamente manuali. Interpreti rispettosi del territorio di Castrocaro la cura della terra rappresenta la centralità del vivere quotidiano di Elisa e dei suoi collaboratori. Si lavora seguendo i dettami dell’agricoltura biodinamica tenendo conto del susseguirsi delle stagioni e dei cicli lunari. Si coltivano solo vitigni autoctoni: Albana, Sangiovese e Trebbiano Romagnolo. I vini Marta Valpiani sono vini artigianali il cui frutto è il risultato di esperienza, di viaggi, ma soprattutto di condivisione con altri produttori. Al fine di produrre vini speciali rappresentanti del territorio, ogni vigna viene vinificata separatamente. In cantina il lavoro è governato dal rispetto e dal tempo, con l’unico intento di preservare senza mai prevaricare, accompagnando e assecondando la naturale inclinazione delle uve.
I vini di Marta Valpiani sono semplici, verticali, energici e vitali. La cantina è piccola e funzionale e la tecnologia è limitatissima. A Elisa la parola “morbidone” non piace tanto, come non le piace se il vino ha troppi “riflessi” gustolfattivi del passaggio in legno (vaniglia? no grazie).
Le fermentazioni sono spontanee e vengono in piccoli tini di acciaio, il tutto senza il controllo delle temperature per far si che l’andamento delle stesse sia tanto spontaneo quanto naturale. L’affinamento dei bianchi avviene in cemento, quello dei rossi in parte in cemento e in parte in grandi botti di rovere, al fine di preservare l’integrità del frutto e la fragranza del fiore. L’obiettivo è sia di non aggiungere, ma anche di non sottrarre nulla.
Sadifruttirossi quest’oggi vi fa conoscere un’eccellenza di Elisa. Un 100% sangiovese rappresentativo del territorio di Castrocaro e del suo terroir estremamente salino. Una espressione del calcare, raccontato dalla spezia.
Degustiamo il Rio Pietra, anno 2019 secondo me la massima espressione del Sangiovese di Castrocaro.
Il Rio Pietra nasce da tre Cru: vigna Casalinetto, vigna Casalino e vigna Campacci tutte adagiate su una prevalenza di argille rosse ricche di ferro, calcare e sasso spungone che come avete imparate dalle precedenti “puntate” è un particolare tipo di roccia arenaria calcarea che forma le colline romagnole da Bertinoro fino a Castrocaro Terme, passando da Meldola e Predappio (dal dialettale spugnò o spungò per il suo aspetto “spugnoso”)
Con l’annata 2019 il Marta Valpiani Rosso cambia nome in Rio Pietra e diventa un Castrocaro Sangiovese sottozona.
Ma perché questo nome? Il nome deriva da un piccolo rio di acque ferrugginose che si trova adiacente a Podere Casalino. Qui le radici sono rosse e ferrettizzate, contengono cioè ossido di ferro. Il Rio Pietra è un affluente del fiume Montone e nasce sulla collina di Bagnolo; ha un percorso di 2,2 km e attraversa il centenario Parco della Sorgara, luogo suggestivo dove nel 1924 venne inaugurato un nuovo stabilimento idropinico che utilizzava tre viversi tipi di acque minerali: Salutare, Gigliola e la Ferruginosa. Le sorgenti vennero scoperte da Michele Savelli, modiglianese ma residente a Castrocaro, che fin dal 1919, si dedicò alla ricerca di questa antica falda.
Più di 100 giorni di macerazione sulle bucce. Perché vi chiederete? Il sangiovese in questione ha una bellissima buccia spessa e il tempo in macerazione fa in modo che ci sia un rilascio totale di tutto il “plus” che può rilasciare, arrotondando molto il tannino: quella strana sensazione da “caco” di cui vi parlavo. (Occhiolino)
Fermentazione alcolica e malolattica in acciaio spontanea. Tre anni di affinamento: il primo anno metà in cemento e metà in botte grande. Con le masse riunite il secondo anno riposa in cemento per poi passare nell’ultimo anno in bottiglia prima di arrivare sulle nostre tavole.
Il Rio Pietra di Marta Valpiani, è un grande classico interpretato in maniera splendida. Provatelo. In assaggio sentirete distintamente la sua sapidità (ricordate le fonti salso bromo iodiche delle Terme di Castrocaro che caratterizzano i terreni?) e il suo carattere ferroso (ricordate le argille rosse di prima?) che va ad equilibrare la piacevolissima bevuta.
Abbinamento per Today?
Anche questa settimana “strolghiamo” un buon abbinamento. Portiamo a temperatura di servizio di circa 16gradi il nostro Sangiovese di Castrocaro. E mettiamolo a tavola con tanto orgoglio perché la bottiglia oltre ad essere buonissima ha un’etichetta bellissima con un disegno di Elisa di un papavero stupendo. Sconsiglio di portare il vino a basse temperature perché non essendo stabilizzato, potrebbe subire leggere precipitazioni tartariche (tecnicismi enologici che a noi non interessano ma che potrebbero aver ripercussioni “poco belle” sulle nostre aspettative, ma che non compromette la qualità del vino).
Cuciniamoci un bel pollo al curry, speziato. “T’an fè lo spulicreto”…con il Rio Petra sarà equilibrato e perfetto per una bella cenetta facile, ma romantica, in casa. Oppure “andasiv a magnè int’una traturiàza in’ti grèp, tajadèli ùnti, sanzvèis e sgardlèda àd baghèn”.
Una curiosità dall’agenzia viaggi “sadifruttirossi” (occhiolino): di fronte alla Tenuta Marta Valpiani, oltre a un meraviglioso panorama da vedere mentre degustate i suoi vini, c’è un bellissimo e facile trekking chiamato “Rio Cozzi” da fare. Non ve ne pentirete.
LA PRECISIONE PRECISA DI ELISA MAZZAVILLANI
Da Wikipedia: “I calanchi sono un fenomeno geomorfologico di erosione del terreno che si produce per l’effetto di dilavamento delle acque su rocce argillose degradate, con scarsa copertura vegetale e quindi poco protette dal ruscellamento: si tratta di profondi solchi nel terreno lungo il fianco di un monte o di una collina.”
Non è un terreno adatto alla viticoltura, in Romagna, in special modo a Brisighella, vi crescono bene solo i carciofi moretti. Mi piace invece pensare ai calanchi come ad un grande affresco a cielo aperto, un monumento che l’azione del tempo plasma continuamente. I calanchi disegnano paesaggi di una bellezza ineffabile e inafferrabile.
Dalla terrazza della Cantina Marta Valpiani, sul Colle di Bagnolo a Castrocaro Terme, se ne può godere a piene mani. La vista ne esce gratificata. Le vigne di Elisa Mazzavillani, la giovane deus ex machina, nulla hanno a che fare coi calanchi; i vari appezzamenti hanno nature ben diverse, ognuno dei quali si può avvertire nei vini, a patto che Elisa vi ci conduca con la pazienza descrittiva che la contraddistingue.
L’ultima sessione di assaggi in orizzontale mi ha lasciato di stucco. La precisione che si risconta oggi nei vini è il segno di una maturità conclamata. I due rossi Crete Azzurre 18 e Rio Pietra 19 (ex MVR e di prossima uscita) il primo più complesso, ci raccontano di un rapporto con la durezza tipica dei tannini di questa parte dell’Appennino oramai del tutto risolto. I due “gemelli diversi” hanno magnifiche colorazioni “sangiovesiste”, maturità di frutto, freschezza ben spalmata e tannini appena nervosi. Per chi cerca un sangiovese più sbarazzino c’è invece il Farfalla.
Che la Romagna stia da tempo sfornando bianchi di tutto interesse è un fatto oramai assodato: qui l’Albana, cui Elisa dedica amorevoli cure e passione indomita, si manifesta in due etichette una da vigne più giovani il Delyus e l’altra il Madonna dei Fiori, vino fresco, salino, complesso che a tavola funziona bene come un Rolex Daytona. Bonus Track: le etichette dei Vini sono, da sole, motivo di acquisto.
MARTA VALPIANI
VIA BAGNOLO, 158
CASTROCARO TERME
https://www.martavalpiani.it
2018 Romagna Albana Secco Madonna dei Fiori, Marta Valpiani
25 Aprile 2020
Madonna dei Fiori 2018 di Elisa Mazzavillani (vini Marta Valpiani) è un’ottima interpretazione di Albana da vecchie viti. Dall’aspetto d’oro colato e dal naso piacevolmente appassito capite già che si tratta di un bianco con il corpo e la sostanza di un rosso. Nell’etichetta Elisa ha ritratto un Hemerocallis o bella per un solo giorno, un giglio dorato, che a dispetto della breve vita significa “io persevero”. L’immagine rappresenta bene il carattere indipendente d’Albana e della produttrice. Il sorso è fresco, a dispetto dei 13 gradi, vibrante, come i vini che provengono da uve supersane, e un po’ tannico come è nella natura scontrosetta dell’albana. Deliziosamente salato il finale che lo rende affine a certi vini di mare. E’ un bianco da servire solo leggermente fresco e da condividere con pochi scelti, tanto è difficile inquadrarlo in una categoria precisa. Il mio consiglio infatti è di acquistarne una cassa e nasconderlo da qualche parte in cantina. Mi raccomando, fate gli gnorri se qualcuno ve lo chiede e se dovessero insistere proponetegli un Cervaro della Sala o un Conte della Vipera. I vostri ospiti ignavi saranno contenti e voi pure: di bianchi italiani con queste potenzialità e a questo prezzo ce ne sono veramente pochi. Non vanno sprecati. «Se i miei calcoli sono esatti, quando questo aggeggio toccherà le 88 miglia orarie ne vedremo delle belle, Marty.»
Marta Valpiani e le Etichette floreali di Elisa
Non mi piace parlare di biologico o non, non credo sia sufficiente, semplicemente credo che occorra prendersi cura della terra che il destino mi ha concesso di accudire, questa va protetta, condotta e preservata per le generazioni future”.
Tutto questo perché, durante la Manifestazione “Sangiovese Purosangue” svoltasi a Siena nel mese di Novembre 2019, mi sono avvicinato alle tre bottiglie presenti nella sala Italo Calvino comprese tra le 262 in degustazione, attratto in particolare dalle etichette. Da lì a degustarle il passo è stato breve. Scelta agevolata anche dal desiderio di cogliere le differenze con i Sangiovesi di Romagna.
Immediato è stato cercare su internet l’azienda, leggere la Storia e la filosofia di Elisa, figlia di Marta Valpiani, la “vignaiola artigiana della terra di Romagna”.
“Sento sempre una strana sensazione quando qualcuno si accorge di noi e del lavoro che stiamo facendo in quei di Bagnolo, in una delle sottozone meno riconosciute del globo terraqueo, in una di quelle in cui qualche pseudo giornalista locale riscontrava come priva di terroir e di un qualche interesse a differenza di altri, che invece ci hanno invece incoraggiato, intravedendo un qualcosa di buono tanti anni fa, in tempi non sospetti (presente il brutto anatroccolo, sì?)”.
Tosta questa romagnola che esce dalle righe del suo sito anche nel sottolineare la sufficienza di quelli che chiama “pseudo-giornalisti”. E devo dire che mi sono trovato in imbarazzo nell’esprimermi pensando di essere associato a quella particolare “specie”.
Leggo ancora: “Non mi sono mai piaciute le cose semplici, anzi, al contrario, ho sempre trovato stimolante rimboccarmi le maniche e lavorare sodo, come mio padre mi ha sempre insegnato, perché nulla viene per caso e perché le più grandi soddisfazioni arrivano dal lavoro onesto”.
E queste etichette fuori dal comune che hanno attirato la mia attenzione? Non credo siano frutto della fantasia di qualche “grafico creativo” ma, vista la personalità di Elisa che traspare da quanto riportato nel sito, siano “cosa propria” e come ebbe a dire Steve Jobs: ”La creatività è mettere in connessione le cose”.
“Così durante una delle mie notti insonni dopo aver concluso le follature delle vasche, ho preso carta e penna e ho iniziato a disegnare le bozze. Ho ritenuto che sì i castelli e le colline fanno certamente tanto territorio e vignaiolo d’antan con millantamila vendemmie alle spalle, ma non mi rispecchiavo in esse, desideravo qualcosa di nuovo, giovane e di esteticamente bello. Desideravo un’etichetta che contenesse un messaggio floreale. Mentre disegnavo ascoltavo Omar Sosa (pianista, poliglotta musicale cubano)”.
Diamo un contenuto all’Azienda Marta Valpiani con i numeri:
14 ettari di vigneti, 3 ettari di oliveti, 14 ettari di cereagricolo, 6 ettari di bosco e mezzo ettero di frutteto.
Produzione dalle 25 alle 30.000 bottiglie annue oltre ad una modesta vendita di sfuso (tradizionale da quelle parti).
“La nostra cantina è stata costruita nel 2004. E’ piccola, semplice e funzionale. E’ stata ricavata nel rispetto della collina, i 2/3 dell’edificio sono sotterranei e ciò garantisce basse temperature e umidità costanti tutto l’anno.
La tecnologia di cantina è limitatissima. Le fermentazioni avvengono in piccoli tini da sei quintali, in vasche di cemento o in tini tronco conici di legno, senza il controllo delle temperature, per far sì che l’andamento delle fermentazioni sia tanto spontaneo quanto naturale.
Le macerazioni sui rossi variano dai 20 giorni per protrarsi fino ad oltre 60 giorni dopo la fine della fermentazione alcolica sui cru. Non si aggiungono lieviti selezionati, le fermentazioni vengono favorite dall’uso di pied de cuve, piccole masse di uva vendemmiate in anticipo e fatte fermentare, che vengono poi aggiunte al mosto all’inizio della fermentazione; non si aggiunge nessun coadiuvante, la fermentazione malolattica è sempre spontanea, se non parte dopo l’alcolica partirà la primavera successiva.
I Sangiovese in particolare una parte in cemento e una parte in botti di rovere francese da 15 e 38 ettolitri, questo per dar modo al vino di elevarsi nel rispetto del varietale e della purezza della sua espressione”.
E i vini assaggiati?
– Marta Valpiani Forlì IGP Sangiovese La Farfalla 2018. Sangiovese di Romagna 100%. “Quella che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo chiama farfalla.” Lao Tzu.
Un vino giovanissimo dal piglio fresco con profilo aromatico intenso. Ottimo, voto 88/100
– Romagna Sangiovese Superiore Marta Valpiani Rosso 2017. “Incarna la nostra idea di vino quotidiano, la succosità e la piacevolezza, il sale e la luce, i sorrisi, la voglia di riportare il vino sulla tavola, ogni giorno.
Il messaggio floreale su questa etichetta è un fiore semplice, il papavero, da sempre oggetto di leggende e credenze popolari, per questo mi è piaciuto. Nel linguaggio dei fiori il papavero simboleggia anche l’orgoglio sopito, ma anche quello della consolazione nella mitologia greca, oltre che quello della semplicità”.
Vino da tavola, da tutti i giorni? Scherziamo? L’MVR è un vino che rilascia slancio e freschezza alla beva. Guadagna dal territorio tensione, sapidità e persistenza. Ottimo, voto 89/100
– Romagna Sangiovese Crete Azzurre 2016. “Rappresenta per noi la “nostra riserva” sebbene non esca con tale denominazione, pertanto esce, solo nelle annate migliori. Messaggio floreale: l’iris, perché era la dea greca dell’arcobaleno, significa fede, speranza, saggezza e valore; il suo profumo ricorda il sangiovese che nasce su queste argille e il colore blu dei suoi petali, richiama i frutti scuri e la speziatura che arricchiscono questa selezione”.
All’interno del calice si rincorrono note floreali, sottili dettagli fruttati con una estrazione misurata ad arte. Ottimo, voto 89/100
“Per noi fare vino non è una semplice questione di tecniche o di metodo, per noi fare vino è vivere in intima associazione con le nostre vigne, è ascolto e comprensione, una dualità donna/natura, dove cerchiamo di accompagnare il vino in maniera responsabile, senza forzature restando discrete ma sempre presenti”. Chapeau!
Urano Cupisti
Campioni assaggiati a novembre durante Sangiovese Purosangue
Marta Valpiani Rosso 2016
Al naso si annuncia con profumi di violetta, garofano, frutti del bosco già maturi, nocciole, una spolverata di pepe, suggestioni di bruma autunnale e foglie secche bagnate. L’assaggio è un soffio di disarmante, leggera, ma saporita succosità, condita da incursioni di spezie piccanti e tenue vena balsamica; nessuna invadenza fenolica. Instilla una freschezza ancora cristallina e lascia, in coda all’assaggio, una scia sapida, di matrice calcarea, che allieta.
Qui per leggere tutto l’articolo su Intralcio.
Elisa Mazzavillani e la notevole crescita dei vini Marta Valpiani
di Jacopo Cossater
La chiave di lettura è inevitabilmente quella già sottolineata da molti: il Sangiovese di Elisa Mazzavilani riesce a smarcarsi con agilità da un folto gruppo di rossi di Romagna spesso ancorati a un’idea di vino più muscolare che spigliato nella freschezza. Due categorie forse agli antipodi la cui sintesi ideale si trova nel mezzo: questa sembra la strada intrapresa dalla piccola azienda agricola Marta Valpiani, dal nome della madre di Elisa. Pochi ettari in conversione biologica e a conduzione biodinamica appena sopra Castrocaro Terme, intorno ai 300 metri di altitudine.
Sono stato la prima volta in cantina appena un paio di settimane fa durante una giornata dal sapore più autunnale che mai, avvolto dalla nebbia e dalle poche luci del crepuscolo. “Peccato – mi dice Elisa – la vista da qui è molto bella, utile anche per farsi un’idea delle particolari condizioni di questa specifica zona della denominazione”. E ancora: “al momento vinifichiamo una minima parte dei nostri vigneti, il grosso va ancora alla locale cantina sociale, siamo piccoli ma determinati”, e sorride. Piccoli ma belli, penso allora io: è piuttosto raro imbattersi nella curiosità e nell’entusiasmo che fanno parte del bagaglio caratteriale di Elisa. Se da una parte l’impressione è quella di trovarsi all’interno di un cantiere più che mai aperto, dove ogni scelta potrebbe essere messa in discussione a breve e dove si sperimenta con quello sguardo di chi vuole a tutti i costi capire meglio, dall’altra emerge una grande consapevolezza del proprio status all’interno di una serie di sistemi più grandi, che si tratti di chi si sta confrontando con la denominazione, con la FIVI, con la biodinamica, con le fermentazioni spontanee o con i tappi a vite, solo per citare le parole chiave che durante la nostra chiacchierata sono emerse più e più volte.
L’idea è che i vini targati Marta Valpiani abbiano conosciuto in questi anni una sicura crescita in termini di espressività, nonostante questa sia stata la mia prima visita in cantina in diverse occasioni mi ero infatti ritrovato ad assaggiare il Sangiovese e l’impressione è che con il tempo questo abbia acquisito un maggior numero di dettagli e una migliore articolazione. In questo momento è in vendita quello della fredda e piovosa vendemmia del 2014: una raccolta che, è inevitabile, amplifica queste caratteristiche. Basta però raggiungere Elisa in cantina e chiederle di assaggiare i rossi attualmente in vasca, il 2015 e il 2016, per rendersi conto che la strada è tracciata. Sono vini sfaccettati, succosi e al tempo stesso leggeri, caratterizzati da una certa spensieratezza e al tempo stesso da quell’anima un po’ selvatica che così amo nei migliori sangiovese.
Conversando in cantina con Elisa, prima di andare a curiosare tra quello che è in maturazione, abbiamo aperto due dei suoi vini in questo momento in vendita, ho anche preso qualche appunto veloce.
Romagna Sangiovese Superiore 2014, Marta Valpiani
Molto più chiaro di quanto si potrebbe immaginare un Sangiovese Superiore di queste parti. Una leggerezza che viene confermata da bei profumi di rosa e di violetta, più in generale di acqua di fiori. E poi lampone e iodio per un assaggio che fa della timbrica sapida il suo tratto più importante. Asciutto senza perdere in golosità, è difficile immaginare di non finire il bicchiere in pochi secondi. Circa 6.000 bottiglie allo stupefacente prezzo di 8/10 euro.
Forlì Bianco 2015, Marta Valpiani
Non solo sangiovese. A partire da pochissima albana Elisa produce un bianco particolarmente convincente in termini di intensità, tutto sapore e allungo. Anche in questo caso è difficile non richiamare quella vena sapida che caratterizza i suoi rossi. Un tratto che si inserisce in un contesto di maggior struttura, frutto e calore, comunque rinfrescante. Appena 2.000 bottiglie a 9/11 euro.